Papa Francesco e lo SPORT

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Papa Francesco e lo Sport

Le 7 parole chiave

 
 

Questo è il primo blocco dell'intervista integrale che Papa Francesco ha concesso a La Gazzetta dello Sport, firmata da Pier Bergonzi (con l'aiuto di don Marco Pozza).

Il Santo Padre, da sempre vicino agli atleti e ai temi dello sport, ha risposto ad una trentina di domande, approfondendo in particolare le prime 7, che ruotano attorno ad altrettante parole chiave.

 

2. IMPEGNO
Il talento è niente senza applicazione: si può nascere talentuosi ma non ci si può addormentare sopra il talento. È il tema dell'impegno. "La storia, non solo quella sportiva, racconta di tanta gente di talento che si è poi persa strada facendo. La stessa parabola dei talenti (Mt 25,14-30) ci viene in aiuto in questa riflessione: il servo che al ritorno del padrone restituisce il talento ricevuto, che per paura aveva nascosto sotto terra, viene considerato malvagio non perché ha rubato ma proprio perché non ha messo a frutto ciò che aveva ricevuto in dono. Nello sport non basta avere talento per vincere: occorre custodirlo, plasmarlo, allenarlo, viverlo come l'occasione per inseguire e manifestare il meglio di noi. La parabola di Matteo ci insegna che Gesù è un allenatore esigente: se sotterri il talento, non fai più parte della sua squadra. Dunque avere talento è un privilegio ma anche e soprattutto una responsabilità, di quelle rischiose da custodire".

 

3. SACRIFICIO
Il "sacrificio" è termine che lo sport spartisce con la religione: "sacrum-facere" è dare sacralità alla fatica. "A nessuno piace fare fatica perché la fatica è un peso che ti spezza. Se, però, nella fatica riesci a trovare un significato, allora il suo giogo si fa più lieve. L'atleta è un po' come il santo: conosce la fatica ma non gli pesa perché, nella fatica, è capace di intravedere oltre, qualcos'altro. Trova una motivazione, che gli permette non solo di affrontare la fatica ma quasi di rallegrarsi per essa: senza motivazione, infatti, non si può affrontare il sacrificio. Il sacrificio, poi, richiede disciplina perché possa diventare successo. Penso, ad esempio, alla specialità del getto del peso: non è il peso, il carico, che ti fa cadere, ma come lo porti e lo lanci. Se non resti concentrato sull'obiettivo e non hai una motivazione forte, il peso ti sbilancia e ti farà cadere a terra".

 

4. INCLUSIONE
Questo sarà l'anno delle Olimpiadi. I Giochi, da sempre, sono un segno di inclusione, contrapposta alla cultura del razzismo, dello scarto. "Chiediamo al Signore la grazia di poterci avviare verso un anno di ripartenza di tutto. Penso, ad esempio, al dramma della mancanza di lavoro e della conseguente sempre maggiore disparità tra chi ha e chi ha perso anche quel poco che aveva. Certamente le Olimpiadi, di cui ho sempre apprezzato il desiderio innato di costruire ponti invece che muri, possono rappresentare anche simbolicamente il segno di una partenza nuova e con il cuore nuovo. All'inizio dell'esperienza delle Olimpiadi, infatti, si prevedeva addirittura la tregua dalle guerre nel tempo delle competizioni. Ogni quattro anni, il mondo ha la possibilità di fermarsi per chiedersi come sta, come stanno gli altri, qual è il termometro di tutto. Non per nulla certe gesta olimpiche sono diventate simbolo di una lotta: pensiamo al razzismo, all'esclusione, alla diversità. Celebrare le olimpiadi è una delle forme più alte di ecumenismo umano, di condivisione della fatica per un mondo migliore".

 

5. SPIRITO DI GRUPPO
F
are-squadra è essenziale nella logica dello sport. Anche della vita di tutti i giorni. "È vero: nessuno si salva da solo. E come credente posso attestare che la fede non è un monologo, bensì un dialogo, una conversazione. Pensiamo ad esempio a Mosè che, sul monte, dice a Dio di salvare anche il popolo, non solo lui (cfr Es 32). Verrebbe da dire, usando una metafora sportiva, che ci potremmo salvare solamente come squadra. Lo sport ha questo di bello: che tutto funziona avendo una squadra come cabina di regia. Gli sport di squadra assomigliano ad un'orchestra: ciascuno dà il meglio di sé per quanto gli compete sotto la sapiente direzione del maestro d'orchestra. O si gioca insieme, oppure si rischia di schiantare. E' così che piccoli gruppi, capaci però di restare uniti, riescono a battere squadroni incapaci di collaborare assieme. C'è un proverbio d'Africa che dice che se una squadra di formiche si mette d'accordo è capace di spostare un elefante. Non funziona solamente nello sport questo".

 

6. ASCESI
"Se penso alla storia di tantissimi santi e sante è evidente che fare ascesi non significa solo rinunciare, distaccarsi, fare esperienza del dolore. L'ascesi è un po' come abitare nelle periferie: ti permette di vedere e comprendere meglio il centro: estraniarsi dal mondo per immergersi ancora meglio. Nell'antichità anche il soldato era un asceta: infatti è l'esercizio che rende asceti e proprio attraverso l'esercizio costante e faticoso si affina qualche abilità. Lo sport rappresenta tutto questo molto bene: mi immagino le scalate sugli Ottomila metri, le immersioni negli abissi, le attraversate degli oceani come dei tentativi per ricercare una dimensione diversa, più alta, meno abituale. È riscoprire la possibilità dello stupore".

 

7. RISCATTO
 "Sì, infatti non basta sognare il successo, occorre svegliarsi e lavorare sodo. È per questo che lo sport è pieno di gente che, col sudore della fronte, ha battuto chi era nato con il talento in tasca. I poveri hanno sete di riscatto: offri loro un libro, un paio di scarpette, una palla e si mostrano capaci di gesta impensabili. La fame, quella vera, è la motivazione più formidabile per il cuore: è mostrare al mondo di valere, è cogliere l'unica occasione che ti danno e giocartela. Questa è gente che non vuole farsi raccontare la vita, vuole vederla con i suoi occhi. Ha fame, tanta fame di riscatto. Per questo certe vittorie portano a commuoversi".

 

"Il mio sport è una palla di stracci. Fare il portiere è stata una scuola di vita"
I ricordi del Santo Padre: "Da piccolo mi piaceva il calcio, ma ho giocato anche a basket, lo sport di mio papà. Io ero una "pata dura" e allora mi mettevano sempre in porta"
Papa Francesco arriva puntuale. Entra nella sala dei ricevimenti della Residenza Santa Marta con passo sicuro e quel sorriso buono, caldo che lo caratterizza. Senza mascherina, tiene le distanze di sicurezza, ma accorcia quelle emotive e ti fa sentire a casa. Ci racconta della sua infanzia, di quando giocava a calcio con una "pelota de trapo", una palla di stracci. Bastava: per giocare e divertirsi. La sintesi del "suo" sport. La metafora del suo apostolato. Ci racconta il suo amore per lo sport di base, di quando andava con suo papà alla stadio per tifare San Lorenzo. Ci parla di Bartali e Maradona..., poi il discorso vola alto per toccare tutti i temi dello sport inteso come momento di crescita, come via ascetica per dare il meglio di sé. Della condanna esplicita al doping, dell'impegno, della necessità di fare squadra e dello sport come modello di inclusione contro la non-cultura degli scarti, tema che gli sta a cuore. Francesco risponde a tutte le nostre domande e alla fine ci consegna il documento più dettagliato e approfondito che un Papa abbia mai "scritto" sul nostro mondo. Il mondo dello sport.

 "Il doping annulla la dignità. Niente scorciatoie", "nessun campione si costruisce in laboratorio. A volte è accaduto, ma il tempo li smaschera. Il talento è un dono, ma ci devi lavorare sopra"

L'allenamento è la via del perfezionamento. È la base di partenza per superare se stessi.
"Nessun campione si costruisce in laboratorio. A volte è accaduto, e non possiamo essere certi che non succederà ancora, anche se speriamo di no! Ma il tempo smaschera i talenti originali da quelli costruiti: un campione nasce e si rinforza con l'allenamento. Il doping nello sport non è soltanto un imbroglio, è una scorciatoia che annulla la dignità. Il talento è un dono ricevuto ma questo non basta: tu ci devi lavorare sopra. Allenarsi, allora, sarà prendersi cura del talento, cercare di farlo maturare al massimo delle sue possibilità. Mi vengono in mente coloro che corrono i 100 metri alle Olimpiadi: per quei pochissimi secondi, anni e anni di allenamento, senza le luci accese. Ogni tanto leggo di qualche grande campione che è il primo ad arrivare all'allenamento e l'ultimo ad andarsene: è la testimonianza che la forza di volontà è più forte dell'abilità. Qui lo sport viaggia di pari passo con la vita: la bellezza, qualunque sia la sua declinazione, è sempre il frutto di una fiammella da tenere accesa giorno dopo giorno".

 

Il motto olimpico "Citius, Altius, Fortius" vale anche per le nostre vite di tutti i giorni?

"Il motto è bellissimo: "Più veloce! Più in alto! Più forte!". Lo attribuiscono al barone Pierre De Coubertin, ma è stato ideato da un predicatore domenicano, Henri Didon. Assieme ai cinque cerchi e alla fiamma olimpica, è uno dei simboli dei Giochi. Non è un invito alla supremazia di una squadra sull'altra, tanto meno una sorta di incitazione al nazionalismo. È un'esortazione per gli atleti, perché tendano a lavorare su se stessi, superando in maniera onesta i loro limiti per costruire qualcosa di grande, senza lasciarsi bloccare da essi. È divenuta una filosofia di vita: l'invito a non accettare che nessuno firmi la vita per noi".

Le prossime Olimpiadi si svolgeranno in Giappone, a Tokyo. Una delle massime giapponesi può essere tradotta così: "Cadi sette volte, rialzati otto". Lei ha visitato il Giappone: che ricordo porta con sé?

"Per due volte ho visitato il Giappone. In questi miei due viaggi ho incontrato una terra meravigliosa, ricca di tradizioni, di fede, di memoria. Alcuni anni prima di intraprendere il secondo viaggio in Giappone, avevo visto una fotografia che mi aveva colpito molto: quella di un bimbo che sta portando in spalla il fratellino morto al crematorio (la foto è del fotografo americano Joe O'Donnell. Il Papa ha incontrato il figlio nel suo secondo viaggio, n.d.r.). L'ho fatta stampare e ho fatto scrivere sopra una frase: "Il frutto della guerra". In quei mesi, alle persone che incontravo, consegnavo la fotografia per non disperdere la memoria dei grandi fallimenti dell'umanità. Quando, nel mio secondo viaggio, mi sono recato, come pellegrino di pace, a Nagasaki e Hiroshima, ho sostato in silenzio di fronte a quella pagina di storia: dei sogni di tantissimi è rimasta solo ombra e silenzio. Gente diversissima unita da un tragico destino. Ho visto, però, anche la speranza in quell'istante: negli occhi di coloro che, sopravvissuti a quella barbarie, hanno trovato il coraggio di continuare a vivere. Nonostante tutto. Con tutto il cuore auguro che le prossime Olimpiadi trovino l'ispirazione in quegli sguardi che non si sono mai arresi".

 

Delle Olimpiadi sono parte integrante le Paralimpiadi, una delle forme più alte di uguaglianza, dignità, rispetto. Mesi fa, attraverso il nostro giornale ha rivolto un pensiero ad Alex Zanardi. È parso chiarissimo il suo intento: parlare a lui per parlare all'immenso popolo che si ritrova in quella storia personale.

"Quando vedo di che cosa sono capaci certi atleti, che portano impressa nel loro fisico qualche disabilità, rimango sbalordito dalla forza della vita. Dello sport mi piace l'idea di inclusione, quei cinque cerchi che si inanellano tra loro finendo per sovrapporsi: è un'immagine splendida di come potrebbe essere il mondo. Il movimento paralimpico è preziosissimo: non solo per includere tutti, ma anche perché è l'occasione per raccontare e dare diritto di cittadinanza nei media a storie di uomini e donne che hanno fatto della disabilità l'arma di riscatto. Quando vedo o leggo di qualche loro impresa, penso che il limite non sia dentro di loro ma soltanto negli occhi di chi li guarda. Sono storie che fanno nascere storie, quando tutti pensano che non ci sia più nessuna storia da raccontare".

Lei è un grande appassionato di calcio: da piccolo tifava per il San Lorenzo. Lo sport, però, non è solo calcio.

"Sappiamo che in ogni angolo del mondo, anche in quello più nascosto e più povero, basta una palla e tutto comincia a popolarsi e a sorridere. Forse per questo il calcio fa un po' la parte del leone. Un po' come accade a casa tra fratelli: ce n'è sempre uno che pensa di valere più degli altri! Ma certo il mondo dello sport è una vera e propria costellazione con tante stelle. Io ho giocato anche a basket e mi sta molto simpatico, ad esempio, il rugby: pure essendo uno sport da duri, non è mai violento. La lealtà e il rispetto che ci sono in questo sport spesso vengono presi come modello di comportamento. Penso al "terzo tempo" dopo la partita: tutti i giocatori delle due squadre si riuniscono anche solo per un saluto, una stretta di mano. È così che dovrebbe essere: dare l'anima quando si gioca ma, terminata la gara, avere il coraggio di stringere la mano all'avversario. Non è stata una guerra tra nemici, solo un'occasione di competizione tra avversari nel gioco. Quelli che vengono considerati sport minori, certe volte, potrebbero fare delle "lezioni di ripetizione" al signor-calcio".

 

C'è un grande business che ruota attorno a questo pianeta meraviglioso che è lo sport. Come riuscire a salvare la bellezza della pratica sportiva senza farle perdere l'anima?

"L'atleta è un mistero affascinante, un capolavoro di grazia, di passione. È facilissimo però trasformarlo in un oggetto, una mercanzia che genera il profitto. Nell'ultima enciclica, "Fratelli Tutti", ho voluto precisare che il mercato, da solo, non risolve tutto anche se la cultura di oggi sembra volerci far credere a tutti i costi a questo dogma di fede neoliberale. Questo accade quando il valore economico detta legge, nello sport come in tanti altri settori della nostra vita. La ricchezza, il guadagno facile, rischiano di far addormentare la passione che ha trasformato un ragazzo qualunque in un fiore all'occhiello. Personalmente credo che un po' di "fame" in tasca sia il segreto per non sentirsi mai appagati, per tenere accesa quella passione che, da bambini, li ha affascinati. È triste vedere campioni ricchissimi ma svogliati, quasi dei burocrati del loro sport: facciamo di tutto perché sia salva la dimensione amatoriale dello sport. Abbiamo visto nei mesi scorsi come la pandemia abbia evidenziato che non tutto si risolva con la libertà di mercato".

Ha mai pensato a un'enciclica sullo sport?

"Apertamente no ma, per esempio, tanti elementi si possono ritrovare nell'enciclica Fratelli Tutti. Per esempio il capitolo quinto offre spunti per riflettere attorno all'imponente mondo economico che gira attorno allo sport ma suggerisce, anche, come lo sport possa aiutare o almeno possa dare il proprio contributo alla globalizzazione dei diritti. Ma forse anche questa nostra conversazione può definirsi l'avvio di una enciclica sullo sport. Vedremo cosa il buon Dio suggerirà nel prosieguo del pontificato! Una cosa, però, possiamo già condividerla. Ogni quattro anni ci sono le Olimpiadi, con la loro Carta Olimpica. Proprio le Olimpiadi possono fungere da faro per i naviganti: la persona al centro, l'uomo teso al suo sviluppo, la difesa della dignità di qualunque persona. E la parte più bella: "Contribuire alla costruzione di un mondo migliore, senza guerre e tensioni, educando i giovani attraverso lo sport praticato senza discriminazioni di alcun genere, in uno spirito di amicizia e di lealtà". È già stato scritto tutto: viviamolo!".

 

Il santo è il campione della fede. Santi, come campioni, non si nasce, si diventa. Qual è il suo segreto per competere nel campionato della santità?

"Restando nel linguaggio sportivo che lei continua a suggerirmi in questa conversazione, per me il segreto per desiderare e per vivere la santità è quello di mettersi in gioco. Infatti che cosa fa un giocatore quando è convocato per una partita o un atleta prima di partecipare ad una gara? Si deve allenare, allenare e ancora allenare. Ad ognuno Dio ha dato un campo, un pezzo di terra nel quale giocarsi la vita: senza allenamento, però, anche il più talentuoso rimane una schiappa, si dice così? Ecco: per me allenarmi - e anche un Papa si deve sempre tenere in allenamento! - è chiedere ogni giorno a Dio "Che cosa vuoi che faccia, che cosa vuoi della mia vita?". Domandare a Gesù, confrontarsi con Lui come con un allenatore. E se si fa uno scivolone, nessuna paura: a bordo campo c'è Lui che è pronto a rimetterci in piedi. Basta non aver paura di rialzarsi".

Michael Jordan, uno dei più grandi cestisti di tutti i tempi, disse che "se ci si arrende una volta, diventa un'abitudine. Mai arrendersi". Santità: come fa lei a non arrendersi mai?

"Prego. Ho bisogno di sapere che gioco in una squadra dove il Capitano ha il diritto di avere l'ultima parola: prego per sapere intercettare al meglio le parole che Lui mi suggerisce, per offrirle al popolo, che non è mai una semplice parola o una categoria sociologica. Popolo è anzi tutto una chiamata, un invito a uscire dall'isolamento e dall'interesse proprio per rovesciarsi nell'ampio letto di un fiume che, avanzando, dà vita al territorio che attraversa. E poi mi tengo i poveri vicino: quando viene la sera, penso a tutti i poveri che dormono attorno al Colonnato di Piazza San Pietro: la loro resistenza è la mia ispirazione, la loro presenza è la mia protezione. Penso a loro e non mi sento mai solo: dentro quella carne fragile e ferita, Dio si nasconde, anzi si manifesta, per suggerirmi lo schema di gioco vincente. E mi fido di Lui: Lui non si arrenderà mai, nemmeno di fronte alla mia fragilità".

Questo è il primo numero della Gazzetta del 2021. Qual è l'augurio di Papa Francesco per l'umanità in questo inizio d'anno?

"Il mio augurio è molto semplice, lo dico con le parole che hanno scritto su una maglietta che mi è stata regalata: "Meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporca". Lo auguro a tutto il mondo, non solo a quello dello sport. È la maniera più bella per giocarsi la vita a testa alta. Che Dio ci doni giorni santi. Pregate per me, per favore: perché non smetta di allenarmi con Dio!".

(ha collaborato don Marco Pozza)
                                                                                                                           
                                                                                                                                                                                                                  Fonte:  "La Gazzetta dello Sport"  2 gennaio - MILANO